10 maggio 2010

Fratelli d'Italia

di Annalisa Battistini

Non è difficile trovare ragazzi di origine straniera nell'Istituto tecnico commerciale Toscanelli di Ostia. Ce ne sono molti. Per esempio ci sono Alin, Masha e Nader. Un diciassettenne (dalla Romania), una diciottenne (dalla Bielorussia), un sedicenne (dall'Egitto). Il regista romano Claudio Giovannesi mette a disposizione la sua telecamera per raccontare le loro storie. Lo fa senza trarne giudizi, senza fare la morale, senza dipingere in maniera forzatamente rassicurante il mondo dell'immigrazione e i giovani della seconda generazione. Perchè non esistono “fenomeni” ma persone. Non esistono concetti ma individui. E se una categoria si deve trovare, per unire questi tre ragazzi, è più quella dell'adolescenza che non quella dell'immigrazione. In questo sta l'interesse del documentario Fratelli d'Italia.

Alin, Masha e Nader sono prima di tutto identità in via di formazione, ingorghi di conflitti in via di elaborazione. Quelli che bisogna sbrogliare nell'età inquieta delle scuole superiori. E che, un adolescente di origine straniera, può vivere in maniera ancora più difficile. Perchè, da sciogliere, può esserci il rapporto con una famiglia che si percepisce distante, o viceversa la difficoltà di staccarsi dalla comunità di appartenenza, oppure la totale rimozione delle proprie radici. Alin sembra uscito da un film di Scorsese e alcuni luoghi di Ostia sembrano un bar di Brooklyn. Alin proprio non vuole integrarsi nella sua classe di italiani. Frequenta rumeni e si sente diverso ma anche unico e irripetibile, come accade spesso di volersi sentire da giovanissimi. Masha è stata adottata da piccola. È in tutto e per tutto italiana. Impossibile distinguerla da una sua coetanea romana. Masha ha un fratello nel paese di origine, che la “ritrova”, contattandola al telefono. Masha non sa che fare: vorrebbe (forse) andare a trovarlo. Ma ha molta molta paura di confrontarsi con il passato doloroso che ha messo sotto il tappeto. Nader ha una fidanzata romana, frequenta solo italiani, bestemmia pure e non pare incline a onorare le tradizioni islamiche a cui la famiglia tiene molto. Il suo conflitto è tra le mura domestiche. In particolare con la madre, un donnone che gliele canta e gliele suona con foga (alla faccia della sottomissione).

Alin ha dei problemi con l'esterno. Masha vive un conflitto interiore. Nader si scontra con la famiglia d'origine, dalla cui “cultura” desidera emanciparsi. Giovannesi racconta tre problematiche diverse cui, giustamente, è centrale e al tempo stesso secondario l'essere “stranieri”. L'adolescente è straniero a se stesso, deve formare la propria personalità. È in sé un coacervo di tensioni. Lo “straniero” è a sua volta soggetto di una negoziazione permanente con il mondo. Nell'adolescenza c'è un'estranietà e nel provenire da “altri mondi” c'è sempre un surplus di conflitto. La virtù del film, un lavoro essenziale a dire poco, è anche il suo limite.

Il regista si concentra su storie interessanti ma che suscitano una domanda provocatoria: perchè, di storie simili, non si occupa la televisione? Quelle di Alin, Masha e Nader sono storie prive di pregiudizi, che dobbiamo essere felici di vedere sullo schermo (grande, perchè il piccolo è già “occupato”). Ma un film come Fratelli d'Italia mette a nudo soprattutto la falsità televisiva, la cosmesi dello show e della fiction. Che non si occupano della verità, anche estetica, di questo paese. Che è piuttosto brutto e decisamente poco patinato. L'Italia precipita nel trasandato. Con scuole sdrucite – nonostante le belle facce di alcuni insegnanti – palazzoni tirati su con due lire, vestiti da quattro soldi. Tutto molto lontano dalle prime serate Rai e Mediaset. Fratelli d'Italia in un mondo normale entrerebbe nel circuito televisivo. Potrebbe addirittura essere il titolo di un format a puntate per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia in maniera intelligente, conoscendo una parte (grande) del futuro italiano. Questi adolescenti meriterebbero una prima serata. Mentre il cinema pare troppo spesso costretto a “fare le veci” (come si trovava scritto nelle giustificazioni) di una carenza informativa e di una cattiva televisione. Intanto, negli States, il documentario ha scoperto da un pezzo il situazionismo. Vedere per credere – se riuscite a reperirlo – The Yes Men fix the world.

IL TRAILER


Fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2485956&yy=2010&mm=05&dd=10&title=fratelli_ditalia

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