04 maggio 2010

HA VINTO IL BUON SENSO

di Angelo Baglioni e Rony Hamaui

L'accordo di domenica 2 maggio evita un arretramento storico del processo di integrazione europea. Non sarà perfetto, ma dà alla Grecia una possibilità di risanare la finanza pubblica, evitandole di continuare a pagare un altissimo prezzo per finanziarsi sui mercati. Sembra scongiurata anche l'eventualità di una disgregazione dell'area euro. E la Bce può ora accettare i titoli di stato greci come garanzia nelle operazioni di finanziamento, indipendentemente dal rating, evitando una grave crisi di liquidità delle banche greche.

L’accordo di domenica 2 maggio evita un arretramento storico del processo di integrazione europea. Non sarà perfetto, ma dà alla Grecia una possibilità di risanare la finanza pubblica, evitandole di continuare a pagare un altissimo prezzo per finanziarsi sui mercati. Lo scenario estremo di una disgregazione dell’area euro sembra scongiurato. L’accordo ha anche favorito la decisione della Bce di accettare i titoli di stato greci come garanzia nelle operazioni di finanziamento, indipendentemente dal rating: si è così evitata una grave crisi di liquidità delle banche greche.

FINANZIAMENTI IN CAMBIO DELL’AGGIUSTAMENTO FISCALE

Dopo mesi di affannate discussioni, la Grecia ha finalmente raggiunto uno storico accordo con il Fondo monetario internazionale, la Commissione UE e i paesi dell’Unione monetaria europea (Ume). Storico poiché si tratta del primo piano di salvataggio di un paese dell’area euro, per l’eccezionale dimensione dei fondi messi a disposizione (110 miliardi di euro) e per l’ampio numero di paesi e istituzioni coinvolte. Una semplice analisi costi-benefici mostra come il buon senso abbia prevalso sulle ancestrali paure tedesche e sulle astratte analisi di alcuni economisti.

L’esistenza stessa dell’Ume è stata salvata da una crisi dai costi altissimi, che si stava propagando ad alcuni paesi europei, in primis Spagna e Portogallo. Qui la curva dei Cds, Credit Default Swap), si era già invertita, cioè le scadenze più brevi risultavano più costose, segno indiscutibile di un grave stato di tensione. L’ironia della sorte ha voluto che fossero gli Stati Uniti a salvare l’Europa, prima aumentando considerevolmente le risorse del Fondo monetario internazionale e poi esercitando una fortissima pressione sul governo tedesco affinché non rischiasse di far cadere il sistema economico-finanziario mondiale, ancora convalescente, in una situazione potenzialmente catastrofica.

È bene ricordare che i prestiti erogati dal Fmi e da altri organismi internazionali, che non si qualifichino come aiuti allo sviluppo delle aree più povere del globo, sono sempre stati rimborsati. Questo perché godono di una implicita seniority, che nasce dall’altissimo costo di non onorarli in termini di credibilità internazionale. Ciò implica che i prestiti concessi dai partner europei potrebbero rivelarsi un buon affare, visto che per loro il costo del finanziamento è di due-tre punti percentuali inferiore al 5 per cento che viene fatto pagare alla Grecia. Insomma, la solidarietà europea non è un “regalo” ai greci, come alcuni lamentano.

Il pacchetto di finanziamenti è accompagnato da significative correzioni di rotta nella gestione della finanza pubblica ellenica, tra tagli di spesa (contenimento degli stipendi dei dipendenti pubblici ed innalzamento dell’età pensionabile) e incrementi di entrate (aumenti di Iva e accise). Il percorso di rientro del deficit è ambizioso: solo per quest’anno la correzione del rapporto deficit/Pil dovrebbe essere di circa 5 punti; dall’attuale 14 per cento il rapporto dovrebbe scendere sotto il 3 per cento nel 2014. Qualcuno dirà che le misure adottate non sono sufficienti. Qualcun altro dirà che non sono realistiche, visto anche il malcontento sociale che inevitabilmente desteranno.

Tuttavia, ci sembra che, al di là dei dettagli, l’unico approccio costruttivo consista nel dare alla Grecia una possibilità di risanare la finanza pubblica, evitandole di continuare a pagare un altissimo prezzo per finanziarsi sui mercati, ciò che naturalmente avrebbe reso impossibile qualsiasi ipotesi di aggiustamento dei conti. L’erogazione dei fondi prestati sarà subordinata a un monitoraggio trimestrale sulla attuazione delle misure correttive, per evitare un ovvio effetto di azzardo morale.

La Germania, notoriamente restia a siglare l’accordo, ha ottenuto in cambio la convocazione di un vertice straordinario dei capi di Stato per il prossimo 7 maggio, al fine di riscrivere in senso restrittivo le regole fiscali di appartenenza all’Ume. Indipendentemente dal merito delle proposte che si faranno (che ancora non conosciamo), vale la pena di ricordare ai tedeschi che nel 2005 furono loro a volere ammorbidire l’applicazione delle norme del Patto di Stabilità e Crescita (deficit pubblico non superiore al 3 per cento del Pil e debito non superiore al 60 per cento), dopo che negli anni precedenti non ne avevano rispettato i precetti, riuscendo così a evitare le sanzioni previste.

UN AIUTO AL SISTEMA BANCARIO GRECO IN PERICOLO

Il piano di intervento concordato domenica 2 maggio viene anche in aiuto del sistema bancario: una parte dei fondi stanziati (10 miliardi) dovrebbe finanziare un fondo di stabilità per il settore finanziario. Come abbiamo già osservato, oggi le banche greche sono pesantemente indebitate nei confronti della Bce a fronte di titoli di stato greci. I recenti downgrading dei titoli di stato ellenici avevano creato una situazione estremamente pericolosa.

Tanto che la Bce stessa, in seguito al piano concordato domenica, ha sospeso, solo per i titoli di stato greci, le soglie minime applicabili ai titoli perché siano accettati come garanzia nelle operazioni di finanziamento alle banche. Secondo le regole della Bce in vigore fino a ieri, in base al giudizio di Standard and Poors i titoli di stato greci non sarebbero più stati consegnabili come collaterale: il rating S&P è BB+ contro un minimo di BBB- per essere accettati; il rating di Fitch è al limite (BBB-) e quello di Moody’s (A3) è poco sopra il minimo (Baa3). Ulteriori esitazioni nella messa a punto di un piano di risanamento delle finanze pubbliche greche, con l’assistenza della comunità internazionale, avrebbe potuto portare ad ulteriori downgrading.

In assenza della sospensione ad hoc concessa dalla Bce, ciò avrebbe potuto creare una crisi di liquidità gravissima del sistema bancario greco, con inevitabili ripercussioni su altre banche europee. Non è un caso se venerdì scorso Moody’s stessa ha declassato l’affidabilità finanziaria delle nove maggiori banche greche. Sarebbe opportuno che la Bce si prendesse la responsabilità di decidere in autonomia quali titoli considera degni di essere consegnati come garanzia per concedere prestiti alle banche, anziché affidarsi alla discrezionalità delle agenzie di rating, la cui reputazione è stata duramente messa alla prova dalla crisi finanziaria. Il provvedimento di ieri è forse il primo passo in questa direzione, ed è stato propiziato dal positivo giudizio espresso dalla Bce sull’accordo di domenica.

Un eventuale default della Grecia si sarebbero sicuramente traslato sui conti della Banca centrale europea. Pertanto è stato molto più saggio prestare i soldi alla Grecia in modo chiaro e trasparente piuttosto che continuare a sovvenzionare le banche elleniche, che (per ora) possono indebitarsi in maniera illimitata all’1 per cento presso la Bce consegnando titoli che gli rendono ben oltre il 10 per cento, imponendo alla Banca centrale stessa di sopportare un rischio altissimo.

Il rischio di credito di cui la Bce si fa carico nelle operazioni di politica monetaria, e di cui ben pochi sembrano accorgersi, non è teorico, ma assai concreto. Basti ricordare che nel solo 2008 la Bce ha dovuto accantonare quasi sei miliardi di euro a fronte di dieci miliardi di prestiti non rimborsati da cinque banche (tre sussidiarie di banche islandesi, una banca olandese e la tedesca Lehman Brother Bankhaus AG), garantiti da Asset Backed Securities che si sono poi rivelate illiquide.

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