23 febbraio 2010

IL DITO MEDIA: SCALPITANZA PSICOLOGICA

Pubblico interamente un articolo di un interista letto su un blog. Buona lettura

Scusatemi fin da ora: non sarò breve.
Qualche anno fa — correva l’anno del Signore 1998, e da poco era passato l’Anniversario della Liberazione — il nostro presidentissimo Massimo Moratti coniò un’espressione, frutto sia della sua estrema educazione e signorilità che della sua grande proprietà di linguaggio. Quell’espressione, da quel momento in avanti, purtroppo, è diventata d’uso talmente comune che — come ogni definizione che viene massificata dal tempo e dall’abuso — non solo ha perso ogni sua forza intrinseca, ma si è ritorta contro al suo stesso autore e ai milioni di tifosi che egli rappresentava e continua a rappresentare.

Lo ricordate tutti, vero?
Dopo lo scempio inverecondo andato in onda in mondovisione e orchestrato dal signor Ceccarini il 26 aprile del 1998, un Moratti indignato, lasciando il Delle Alpi, disse che gli arbitri soffrivano di “sudditanza psicologica” nei confronti della Juventus.
Non sapeva, il buon Massimo, che da quel momento in avanti quella definizione — di per sé assai felice, pur nella sua quasi ingenua pudicizia politically correct — sarebbe stata adoperata dapprima per giustificare l’operato di arbitri e di designatori poi condannati e smascherati dallo scandalo esploso nel 2006 e, in seguito, quando detto operato non poteva più essere giustificato in alcun modo decente, applicata ad penis per corroborare, di volta in volta, le aspirazioni di ritorno dei bianconeri, le lacrime spallettiane dei giallorossi e i proclami caciaroni e buzzurri dei rossoneri. In generale, oltre a un uso smodato che è stato perpetrato di questa definizione ai danni dell’Inter, è assurto ormai a prassi giornalistica asserire l’esistenza di una fantomatica sudditanza psicologica nei confronti delle “grandi” del calcio italiano.

Come “grandi del calcio italiano”, in genere, si intendono Inter, Milan, Juventus e — solo in parte e solo negli ultimi anni — Roma.

Ebbene, il fenomeno esiste. Esiste eccome, e ce l’abbiamo sotto gli occhi in media una volta alla settimana. Non solo, ma a quanto pare non ne soffrono soltanto gli arbitri, ma addirittura gli addetti ai lavori: giocatori, allenatori, presidenti e via blaterando.

Peccato, però, che questa sudditanza psicologica pare esistere per tutte le cosiddette “grandi” di cui sopra… a eccezione dell’Inter.

Quando si tratta di Inter, infatti — e questo è un fenomeno che aveva già raggiunto livelli insopportabili durante l’era-Mancini, ma che si è esasperato al di là di ogni limite di umana sopportazione nel biennio di Mourinho — la reazione degli addetti ai lavori in toto (arbitri, guardalinee, designatori, allenatori, direttori sportivi, presidenti, giornalisti, pennivendoli, imbrattacarte) si trasforma, come per magia, dalla sudditanza psicologica a quella che io ormai definisco scalpitanza psicologica.

(Nota post: E pensare che ‘sta roba l’ho scritta prima delle decisioni criminali della giustizia sportiva. Aggiungiamoli all’elenco.)


Scàlpitano, infatti, tutti i lorsignori, quando c’è di mezzo l’Inter. Ecco quindi il povero Malesani che incassa senza colpo ferire rigoracci negati al Siena, espulsioni e disparità di trattamento mettendosi — perfetto emblema di succube della Sudditanza — ben vaselinato a novanta gradi di fronte al potente di turno, salvo poi inalberarsi e ritrovarsi in piena scalpitanza e, con il tono piagnucoloso che è tipico della cadenza veneta che è propria a lui e a molti miei parenti, inveire con involontaria comicità non per un rigore inventato, non per un’esplusione ingiustificata, ma per un calcio di punizione assegnato all’Inter a trentasette metri dalla porta avversaria.

Ecco l’imperturbabile Rosetti — uno dei nostri migliori arbitri, e questa non è una giustificazione, ma un’aggravante — svestire improvvisamente i panni della sudditanza e indossare la scalpitante armatura psicologica inversa fischiando due rigori in quattro minuti contro i nerazzurri in Bari-Inter e mancando clamorosamente di espellere Bonucci per fallo da ultimo uomo a un metro dalla riga di porta. Un fallo da ultimo uomo che, invece, il signor Tagliavento — altro scalpitante candidato alla Scalpitanza Psicologica — non si cura affatto di risparmiare a Walter Samuel per un braccio allargato otto metri fuori dall’area di rigore (più o meno dove è stato concesso il rigore a PierPiero la settimana prima). Dev’essere ormai un punto di orgoglio esibire la propria Scalpitanza Psicologica, visto che lo stesso Rosetti nega un rigore solare all’Inter contro il Napoli per un’azione con un meccanismo di gioco molto simile a quello assegnato al Bari due settimane prima, con l’aggravante che questa volta chi commette il fallo di mano non è in scivolata e non si sta proteggendo il volto e non ha il braccio attaccato alla testa.
Il confine tra Sudditanza e Scalpitanza è così labile che, se da una parte assistiamo a timide proteste genoane per un rigore assegnato a favore della Juventus per un non-fallo a metà campo e praticamente a nessuna protesta genoana per tre rigori assegnati e un gol in fuorigioco convalidato al Milan (che la partita la vince 5 a 2, fatevi i calcoli voi che l’aritmetica delle elementari l’abbiam fatta tutti), ecco che poi tutti scàlpitano dopo lo scandalosissimo derby Inter-Milan lanciando accorati appelli dalla cartigienica rosa che è diventata la un-tempo-gloriosa Gazzetta, titolando con commoventi e strappalacrime Inter, ma perché? un vergognoso fondo di risposta alle legittime indignazioni nerazzurre.

E poi, puntualmente, va in onda il Teatrino della Scalpitanza in quel di Napoli, patria terra delle Sceneggiate che, per mano e lingua del suo méntore hollywoodiano de noantri, prepara benissimo l’atmosfera pre-Inter istigando i suoi civilissimi tifosi alla panholada e ottenendo come risultato non fazzoletti bianchi e carnevalesche MaschereDiCollina come preventivato — con nauseabonde strizzatine d’occhio alla giojosa napoletanità — dai giornalisti e dagli addetti ai lavori, ma una sassaiola contro il pullman dell’Inter al suo arrivo al San Paolo e una pioggia di sputi che colpisce senza sosta gli addetti di InterChannel in tribuna, tanto che Scarpini deve fare la telecronaca con l’ombrello e deve poi essere scortato dalla polizia fino alla mix-zone e da lì al pullman della squadra.


Quante righe su questo argomento sono state spese dall’ex-gloriosa Gazzetta il giorno seguente?

Via, non andate a scartabellare gli archivi, ve lo dico io: zero.

Invece, sulle stesse pagine e dagli stessi schermi televisivi colpevolmente silenziosi di fronte alla violenza, viene data ampia risonanza alle scalpitanti parole di chi, di fatto, questa violenza l’ha generata. Dapprima il signor De Laurentiis — che vien fatto passare dai media sportivi per grand’uomo di cultura, ma che verrà ricordato fra qualche decennio per Natale a Beverly Hills, Natale in India, Natale a Salcazzo e per aver contribuito a far sì che il povero Vittorio De Sica si contorca peri secoli a venire nella sua tomba nel vedere come s’è ridotto suo figlio — con un’arroganza e una maleducazione senza pari se non forse nei punti più salienti (scoregge in vasche da bagno e doppi sensi da trivio) dei suoi squallidi film si permette di dichiarare in diretta TV che Mourinho non lo vorrebbe nemmeno se glielo regalassero e che tutt’al più lo prenderebbe come attore (sicuramente meglio di Massimo Ghini e del figlio degenere dell’immenso Vittorio sarebbe, a onor del vero); di seguito, il suo Grande Allenatore — che verrà ricordato anch’egli dai posteri per il gioco spumeggiante espresso per anni dalla sua Reggina, catenacciara e scorretta a tal punto che soltanto lo stesso Mazzarri, sulla panchina della Sampdoria, riuscirà a superare se stesso creando di fatto quella che è tutt’ora la squadra più scorretta, simulatrice, tuffatrice e vergognosa d’Italia — dichiara che “non si può stare a sentire le favole del portoghese”.

E qui parte il vero Teatrino dei Nani e delle Ballerine, dei Fenomeni da Baraccone, e va in onda il Freak Show del giornalismo sportivo italiano, che — come è ormai prassi da due anni a questa parte — chiede risposta al provocato e all’insultato e trasforma la risposta nell’inizio della polemica. E gode, e scalpita, e strepita e strumpallazza, rimbalzando pezzi di vomito giornalistico dalla redazione di SKY a quelle dei quotidiani sportivi, con la ciliegina sulla torta di un Bergomi vergognoso e indegno della maglia che ha vestito per vent’anni che, con il suo fare da pretino di campagna ormai ingobbito da anni di profferte deretaniche, pontifica e giustifica l’obbrobrio perpetrato dal signor Tagliavento sabato sera.
Nel frattempo, qualche giorno prima, è andata in scena un’altra Scalpitanza Psicologica, questa volta andando a sfiorare Orgogli Nazionali e minchiate retoriche da premondiale per l’arbitraggio di Ovrebo durante Bayern-Fiorentina. Eh sì, perché quando si tratta di difendere le sponde italiote che non siano nerazzurre, allora si muove il Parlamento, e si muovono gli Abeti e i Pioppi e persino le Sequoie, e quell’idiota sesquipedale di Compagnoni in telecronaca non manca di rimarcare i precedenti scandalosi del grasso fischietto norvegese citando a piene mani la semifinale di Cèmpions dell’anno passato e dimenticandosi — ma guarda che caso, ecco la Scalpitanza — di ciò che lo stesso Ovrebo commise contro l’Inter, eliminandola di fatto nell’ottavo di finale vs Liverpool di due anni fa. E, tanto per non farci mancare nulla in questa Atrocity Exhibition, puntualmente arriva l’incensazione degli Unti del Signore in grado di perdere soltanto per 3 a 2 in casa contro il Manchester, titolando Cuore Milan senza alcuna vergogna e dimenticando — ma guarda che caso — i titoli e le critiche feroci dell’anno precedente quando l’Inter prese due pali fuori casa contro lo stesso Manchester — anzi no, contro lo stesso Manchester più Cristiano Ronaldo. Fate voi il giochino mentale e immaginate l’Inter che mercoledì perde 3 a 2 contro il Chelsea rischiando di prenderne 5 come ha fatto il Milan martedì scorso e pitturatevi nel cervello i possibili articoli.

Fatelo voi, perché io, sinceramente, proprio come le redazioni e gli schermi televisivi sono pieni di coglioni, tolgo una semplice d e ve lo dico chiaramente: ne ho pieni i coglioni.

Ne ho pieni i coglioni di gente patetica, incompetente e intellettualmente disonesta come Massimo Mauro, Beppe Bergomi, Maurizio Compagnoni, Massimo Marianella, Mario Sconcerti, Aurelio De Laurentiis, Italo Cucci, Marino Bartoletti, Massimo de Luca, Franco Rossi, Paolo Ziliani e Walter Mazzarri (mi limito a qualche nome, l’elenco potrebbe essere infinitamente più lungo, per eventuali querele da parte di questi idioti ecco un bel disclaimer: Le idee da me espresse in questo articolo non rappresentano necessariamente la visione e la linea editoriale di questo blog e me ne assumo personale responsabilità firmando con nome e cognome. You’re welcome — tradotto per Franco Rossi, “accomodatevi”).

Ne ho pieni i coglioni — provo un fastidio tanto profondo che è difficile da spiegare persino da un prolisso logorroico quale io sono — di constatare, giorno dopo giorno, che l’unica squadra degna di questo nome del campionato italiano — l’unica squadra che, in questi anni di schifo e di scandali, di mazzette e di arbitri comprati, ha saputo dare lustro, onestà e dignità a un carrozzone pietoso per qualità dei suoi componenti, cariatidizzati nelle loro immutabili posizioni scolpite nel fango e nello sterco — invece di essere esaltata come meriterebbe, viene bersagliata senza pietà, sbeffeggiata e presa per il culo dall’intero apparato istituzional-mediatico e da una società civile (sigh) che arriva addirittura ad abissi hitleriani di insabbiamento di razzismo pur di poter dare addosso a un ambiente che ha l’unica colpa — imperdonabile nell’era berlusconiana — di non aver mai ceduto a tangenti e a scorciatoie meschine, a logiche mafiose e conniventi, a balletti ignobili e a furberie intrallazzatorie.


Ne ho pieni i coglioni di prendermi, oltre ai danni, le beffe delle ridicole multe e dei penosi deferimenti, di subire — da tifoso non pagato, per giunta, e non da presidente o da allenatore — la violenza sistematica delle istituzioni che prima provocano e poi puniscono le legittime alzate di testa. Questo è il paese degli struzzi, e la testa bisogna infilarla non tanto nella sabbia, ma in qualche culo capiente, e lì far andare la lingua in segno — questa volta sì — di sudditanza psicologica.

Ne ho pieni i coglioni di un sistema-calcio che altro non è se non la velina dello stato pietoso in cui versa il nostro bistrattato Paese, un sistema-calcio che — come da me già ripetuto più volte nel corso degli ultimi anni — viene adoperato come palestra informativa per mettere a punto tecniche di manipolazione di massa utilizzate poi in altri e ben più cruciali àmbiti.

Ne ho pieni i coglioni, anche, della società Inter che, come diceva giustamente Nicoletti in un articolo qualche giorno fa, per interessi altri che non è mai dato specificare, lascia da solo un allenatore irripetibile che deve abbassarsi allo scontro con nani e ballerine e comici d’accatto like Abatantuono, e beccarsi gli insulti del produttore di Cinepanettoni e dell’occhialuto Allenatore dei Tuffatori senza che nessuno muova un dito istituzionale in sua difesa; un allenatore che perderemo, fratelli nerazzurri, perché nessun uomo con una minima dignità professionale resterebbe un altro anno in questo Circo Merdano (non è un errore di battitura) di imbonitori venduti e pecorinizzati. E, nel mio piccolo, spero davvero che Mourinho vada via, perché osservare la lapidazione continua e schifosa che viene perpetrata ai suoi danni senza che si levi voce alcuna a spalleggiarlo mi dà la nausea. E, nel mio piccolo, lo capisco, perché in questo paese ormai devastato nel morale e nella morale da quindici anni di berlusconismo tutto funziona come nel calcio, a partire dalla politica per finire all’editoria — e la uso come esempio soltanto perché è il mio campo e quindi so benissimo di cosa sto parlando — dove vengono pubblicati libri che non venderanno nemmeno cento copie soltanto perché l’autore X invita a cena diciotto volte l’anno il direttore editoriale Y, e dove scrittori veri e capaci si ritrovano ai margini soltanto perché non vogliono prestarsi alla bavosa gara degli slinguaculi. Nel mio piccolo lo capisco, dicevo, perché insieme a un paio di scrittori torinesi — scrittori veri, loro, e uno è pure juventino e ha scritto un romanzo-denuncia ben prima di calciopoli intitolato “La Tattica del Fuorigioco” — stiamo pianificando un’emigrazione a Londra, proprio per saltare a pié pari la corruzione e l’incompetenza e andare a scrivere direttamente in inglese in un luogo dove Berlusconi, per fortuna, è soltanto una macchietta che compare sulle vignette del Sunday Times e non il ridicolo burattinaio liftato che muove a suo piacimento i destini di una nazione e spappola milioni di cervelli ormai atrofizzati e liquefatti da decenni di Grandi Fratelli e Strisce Le Notizie.

Ma, soprattutto — e ora smetto di divagare — ne ho pieni i coglioni di questo calcio. Non mi diverto più, non è più bello guardarmi le partite con la Paola, non è più divertente nemmeno andare al bar e sfottere gli idioti di SKY che vengono a prendersi il panino (gli studi sono a duecento metri da casa mia), hanno smesso di essere divertenti persino le schermaglie da bar con i tifosi milanisti e juventini di Rogoredo.

Mi fa schifo, e non trovo assolutamente più nulla da ridere, nulla su cui ironizzare, nulla su cui esercitare il mio sarcasmo nello squallore ormai endemico che infanga l’ex-gloriosa stampa sportiva italiana e infesta come una piaga purulenta gli schermi delle televisioni tutte, pubbliche e a pagamento, sul digitale terrestre o sul satellite, e si estende come un cancro nelle metastasi internettiane dei siti web di Franco Rossi a Paolo Ziliani, passando infetta per le homepages dei media sportivi.


Questo calcio mi fa schifo.

E poi, sinceramente, ho già dato. Ho già dato negli Anni di Merda, quelli in cui eravamo i cornuti&mazziati, i cornuti&contenti, quelli che il 5 maggio hanno dovuto assistere a Marcello Lippi che davanti alle telecamere affermava “su questa squadra di campioni è stata gettata merda per tutto l’anno” (testuali parole che mai dimenticherò), e lo affermava ben sapendo come e perché la sua “squadra di campioni” aveva vinto quello e i campionati precedenti e come e perché avrebbe vinto i campionati successivi.

Ho già dato, amici (tali vi considero, dopo due anni di frequentazione). Ho già dato e non ho nessuna intenzione di dare ancora. La prima vaga sensazione di infezione mi è venuta al nono minuto del primo tempo di Juventus-Inter lo scorso cinque dicembre, quando Samuel veniva falciato in area senza che l’arbitro — a due passi come il famigerato De Santis di Chievo-Inter nel 2002 — facesse nulla.

Un fastidio che poi è cresciuto, che mi è montato dentro e che ha trovato orribile conferma nelle ultime settimane. I due rigori fischiati in cinque minuti a favore del Bari, la mancata espulsione di Bonucci, la vergogna televisiva mondiale (ho ricevuto mail persino dalla Nuova Zelanda e dalla Colombia, e non la sto sparando tanto per) del derby, l’acutissima svista di Rosetti contro il Napoli e, infine, l’accanimento sistematico e privo di vergogna di Tagliavento di sabato sera contro la Sampdoria hanno colmato la mia misura.

Una volta è un caso, la seconda può essere scalpitanza psicologica, la terza mi insospettisce… e beh, se alla quarta volta consecutiva non me ne accorgo, allora sono scemo io e non più gli altri. E’ mia ferma, incrollabile convinzione che questo sia un campionato falsato, pilotato e deciso fin da ora: in un modo o nell’altro, l’Inter questo torneo non lo deve vincere, e non lo vincerà.

E, se per caso riuscirà comunque a farcela, sarà soltanto perché è talmente forte (e l’Inter lo è) da riuscire a pareggiare in nove contro undici o a vincere un derby che resterà nella memoria di tutti come la partita più vergognosa della storia, più ancora della famigerata Juventus-Inter di Ceccarini. Se per caso, contro tutti i Tagliavento inviati di volta in volta dal palazzo, a maggio saremo di nuovo Campioni d’Italia, sarà soltanto perché l’Inter è così grande da meritarsi (e sapete che novità sia per me dire questa cosa credendoci fino in fondo) il meraviglioso pubblico che sabato sera ha sventolato carta igienica bianca in una panholada spontanea invece di bruciare sedili come a Torino o di lanciare sassi e sputi come a Napoli o di intonare cori vergognosi come a Verona o di uccidere ispettori di polizia come a Catania o di fermare derby in mondovisione come a Roma.


Ma questo, per me, è un campionato falsato, e niente e nessuno mi farà cambiare idea, e se lo vinceremo sarò in Duomo con voi tre volte perché sarà una vittoria che non vale doppio, ma triplo.

Eppure, non posso continuare. Non sono in grado di mantenere la necessaria serenità distaccata nell’osservare la lapidazione mediatica che subirà Mourinho e, purtroppo, l’isolamento in cui lo lascerà Moratti rescindendo il contratto a fine anno pur di non intaccare quei rapporti che, a quanto pare, per la società Inter sono più importanti di quelli che, finora, sono sempre stati i suoi valori.

Mi provoca un’enorme tristezza leggere, nel blog, commenti che razionalizzano l’operato dei vari Tagliavento, Rocchi, Rizzoli, Rosetti e chiunque ci manderanno d’ora in avanti; che gettano la croce su Eto’o per quel gol sbagliato invece di pensare a quanto ha dovuto correre perché eravamo due in meno; che si ammantano di noblesse fingendo che “sì, l’espulsione di Cordoba ci poteva stare” e che “siamo entrati in campo nervosi”.

E mi fa rabbia, non tristezza, leggere di quanto siamo grandi perché siamo riusciti a non perdere nonostante la vergogna di Tagliavento: perché saremo anche grandi (e su questo concordo in pieno), ma intanto due punti ce li hanno tolti, e ce ne hanno tolti due a Napoli e due a Bari, e nel derby non ce ne hanno tolti tre soltanto perché siamo la miglior squadra italiana degli ultimi quarant’anni. Non mi piacciono, queste cose: mi ricordano troppo le razionalizzazioni penose e patetiche di quella primavera del 2002, quando cercavamo di dare la colpa a noi stessi per la sconfitta casalinga con l’Atalanta o per Lazio-Inter del Cinque Maggio, pur sapendo benissimo che in un campionato regolare non saremmo mai e poi mai arrivati a giocarci il titolo all’ultima giornata.

Se accadrà anche quest’anno, di giocarcelo all’ultima giornata, sarà già di per sé un piccolo miracolo.
La linea editoriale di questo blog — che ammiro moltissimo, e non è una novità — negli ultimi tempi è stata troppo diversa da come la penso, da ciò di cui ormai sono convinto, perché io possa continuare con gli stessi toni allegri e sarcastici di sempre senza venir meno a una coerenza a cui tengo forse più che a ogni altra cosa quando si tratta di ciò che per me è la vita stessa, ovvero la parola scritta. Se continuassi a scrivere di ciò che accade limitandomi a sbeffeggiare gli idioti che imperversano nei media e senza tener conto della volontà sistematica di affossare l’Inter e di impedire all’Inter di vincere un titolo sacrosanto e strameritato, sancendo di fatto un ritorno al passato degli scandali insabbiati e della bile vomitata per la rabbia — cosa di cui sono convinto al di là di ogni dubbio possibile e su cui niente e nessuno mi farà cambiare idea — sentirei davvero, nel profondo, di prendere per il culo non soltanto me stesso, ma anche voi che, nonostante le frequenti divergenze di opinioni, siete comunque i miei Fratelli Nerazzurri, con la F e la N maiuscole.

E questa è una cosa che non voglio e non posso fare.

Non posso più parlare di calcio, perché questa — la sequenza Bari-Derby-Napoli-Sampdoria e ciò che verrà nelle prossime quattordici giornate — è un’altra cosa.
Perché il calcio dev’essere divertimento e passione, e non riproduzione in scala dello schifo che ammorba il nostro Paese. Il calcio dev’essere, almeno per me, il momento in cui soffro e tifo sul divano con accanto la Paola, e non il momento in cui io e lei ci ritroviamo — per la quarta partita consecutiva — a guardarci e a dirci “col cazzo che domenica restiamo qui a farci prendere per il culo”, salvo poi tornare su quello stesso divano la domenica dopo e farci prendere per il culo un’altra volta.

Eh no. Bisogna anche saper dire basta, ogni tanto.

Questo non è calcio, questa è una vergogna. Che sarebbe già difficilmente sopportabile così, da sola, ma che diventa insostenibile quando viene rovesciata, alimentata, nutrita, vezzeggiata e slinguazzata dai media venduti, schifosi e privi di dignità che ci ritroviamo in Italia, e non soltanto in campo sportivo.

Siete liberissimi di pensarla in modo diverso dal mio, ci mancherebbe, ma io la mia idea non la cambio.

E ora aspettiamo Moratti e la società, attendiamo una risposta che non potrà che essere forte, decisa e armata di una ferocia senza precedenti. Perché, se non lo fosse, se fosse tentennante o cerchiobottista, sigillerebbe di fatto la rottura definitiva del patto tacito che ha sempre legato Moratti e i tifosi dell’Inter: gli scudetti sono sì importanti, ma la dignità di essere INTERISTI lo è molto di più.


Ammetto in tutta sincerità che, invece, mi aspetto ben (poco) altro. Spero di sbagliarmi, prego di sbagliarmi, ma sinceramente, se la società Inter prendesse i provvedimenti che auspico, per me sarebbe una sorpresa almeno tanto quanto è stata una sorpresa scoprire, al fischio finale di Inter-Sampdoria sabato sera, la voglia assoluta e irrinunciabile, domenica prossima, di andare in giro a cazzeggiare spensierato con la Nikon al collo invece di farmi sodomizzare come una pecora dal killer che verrà designato dalla mafia per falsare Udinese-Inter, un killer che sarà la fetida ciliegina sulla torta di pus eiettata ieri dagli scarichi fognari della giustizia sportiva.

Una “giustizia” sportiva che ha pensato bene, tra le altre nefandezze, di punire la straordinaria lezione di civiltà del pubblico di San Siro. Per la prima volta da che ho memoria, un pubblico di uno stadio pronto a esplodere si è avvicinato, per civiltà e compostezza, al tanto favoleggiato modello inglese che, quando non si tratta di Inter, gli ipocriti imbrattatori di fogli rosa invocano piagnucolando — salvo poi ovviamente chiudere gli occhi venduti e tralasciare di menzionare gli sputi e i sassi napoletani, gli accoltellamenti romani, i cori razzisti veronesi, i seggiolini bruciati bianconeri.

Ebbene, questo pubblico è stato punito con un’ammenda più alta di chi ha cantato per un’ora “non esistono negri italiani”. Questa è una decisione infinitamente più grave e criminale delle due giornate a Cambiasso e Muntari, della ridicola ammenda per simulazione a Eto’o o delle tre giornate comminate a Mourinho per il gesto delle manette.

Questo è il nostro calcio, un pentolone ribollente di bile verdastra e tossica, ridicolizzato e sputtanato da qualsiasi commentatore straniero che abbia la fortuna di operare al di fuori di questa bolla di realtà virtuale in cui ci muoviamo come pallidi ectoplasmi credendo che ciò che ci raccontano sia vero.

Ma, soprattutto, questa è l’Italia. E, non certo a caso, anni fa qualcuno lanciò la sua promessa elettorale e disse: “Farò diventare l’Italia come il mio Milan.”

Ebbene, a distanza di poco più di un decennio, a quanto pare c’è riuscito.

E questo è ciò di cui dovrei scrivere con ironia e sarcasmo?

Non lo so, davvero, se riuscirò a farcela ancora.

Scusate la lunghezza.
Stefano Massaron

http://betait.oleole.com/blogs/iostoconmancini/posts/il-dito-media-scalpitanza-psicologica

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