14 aprile 2010

Del meglio del nostro peggio

di Il Duca Nicio - 12/04/2010

Presidenzialismo alla francese, militarizzazione alla russa, disinformazione alla birmana, censura alla cinese, centralizzazione del potere alla turkmena, detenzione alla libica, religiosità alla vaticana; il meglio del nostro peggio. E ancora legittimi impedimenti, decreti firmati, stipendi aumentati, poltrone incollate, lettere minatorie, dossier.

L’Italia post-elettorale pare essere un puzzle di immondizia istituzionale presa qua e là dal pianeta terra e propinata agli italiani come top della gamma. Il vero mondo globale è qui, cittadini italiani: riuscire a prendere il peggio del pianeta e ad importarlo nel nostrano mondo di ballerine, dolci tipici e prezzolati televisivi non è da tutti.

Siamo amici e nemici dell’intero universo, a seconda di come ci pende al mattino. È questa la vera italianità, questa è la famosa flessibilità che da anni continuiamo a chiederci dove ci avrebbe portato: ad essere apprezzati e mal considerati da tutto il globo terrestre.

Dopo le elezioni ci siamo lanciati negli scandali ecclesiastici, clamorosamente partiti dagli Stati Uniti e clamorosamente sminuiti in Italia; poi la Pasqua ha portato all’appesantimento degli stomaci e del dibattito sulla pedofilia monastica; cambio: da pasquetta ci si concentra sulle riforme. Ora si fanno le riforme. Il Presidente della Repubblica auspica riforme condivise, il governo garantisce le riforme, l’opposizione si dice disposta al confronto sulle riforme. La domanda che nessuno pone è: quali riforme? L’immagine che salta alla mente è quella di un primo ministro che si sveglia nel letto di Putin al mattino e sbotta: oggi faccio le riforme. Riforma. Dell’aspetto del primo ministro (una riforma, nuova forma al suo volto)? Di nuovo?

Dalla regia mi suggeriscono che sarà una riforma dell’apparato dello Stato: riforma economica (che è già stata fatta, andrebbe solo applicata), riforma giudiziaria (adesso basta con i processi scomodi), riforma dell’informazione (affinchè si sappia e si pensi solo ciò che si deve sapere e pensare), riforma del Parlamento (io lo delegittimerei proprio, creando un parco a tema in cui i deputati ed i senatori sono corifei allegri ed ebbri, magari seminudi e sonanti lire e canti al sovrano), riforma del Presidente della Repubblica (bisognerà pur garantire un posto per la pensione dorata di Sua Emittenza, cribbio).

Riformare. Il Paese è da riformare. Chiudiamo questa fallimentare seconda Repubblica (parafrasando le parole dell’attuale Presidente del Consiglio, che tra l’altro nella seconda repubblica ha governato per tre quarti del tempo) per lanciarci nella sontuosa terza repubblica: la garanzia che ogni italiano avrà in casa un televisore di ultima generazione, di quelli che irradiano cultura slavata da prezzolati di basso profilo, possibilmente con la cuffia in testa (ops, è l’alopecia di Minzolini), la garanzia che in ogni casa saranno presenti meretrici, in video o sul divano.

La garanzia di un lifting per tutti. Nessuno più piangerà perché verranno estirpati dai bulbi gli occhi per piangere, nessuno più criticherà perché le malelingue verranno cucite tra le pagine dei libri di Bruno Vespa, affinchè non vengano mai aperti e dimenticati. La radio trasmetterà, acca ventiquattro, le hit di “Amici”, intervallate dal nuovo inno nazionale: “Meno male che Silvio c’è”, titolo che sottolinea soltanto che Silvio è il male minore (o sbaglio)? Difatti all’opposizione parlamentare verrà imposta dal governo la canzone per la campagna elettorale: “Più male se Silvio non ci fosse”; Bersani ringrazia e Di Pietro azzecca il congiuntivo nel titolo. Tutti più felici, grazie Sua Emittenza.

Sono questi gli argomenti che interessano gli italiani? La risposta, fornita da un sondaggio su un campione di intervistati con redditi sopra i 100mila euro l’anno, è “certamente si”: crisi economica alle spalle, crisi politica alle spalle, crisi giudiziaria alle spalle. Con tutte queste crisi alle spalle, possibile che nessuno si sia accorto della grande crisi che l’Italia si ritrova, braghe calate, prepotentemente alle spalle? Ma, si sa, gli italiani sono un popolo tosto, duro: la sfangheranno, fino a quando l’onda azzurra non si sarà infranta sulle rocce della terza repubblica.

Nel frattempo le fabbriche chiuderanno perché gli operai sono tristi: verranno rimpiazzati da operai veline bravissime a ballare sui nastri trasportatori, un po’ meno a rimpinguare il PIL nazionale. Ma che ci frega? Saremo in terza repubblica, la repubblica delle due banane (così almeno una ce la mangiamo). Non ci saranno più manifestazioni di sinistra a rovinarci il sabato pomeriggio di shopping in centro, ma non ci saranno neppure le attività in cui fare shopping: non disperiamoci però, tanto non ci sarebbero stati i soldi per lo shopping.

Il vero sole dell’avvenire si alzerà prima delle elezioni del 2013, sempre se non si rivelino fondate profezie apocalittiche maya; in quel caso poco male amici: non ci saremo persi niente.

Fonte: http://www.nokoss.net/2010/04/12/del-meglio-del-nostro-peggio/

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