30 aprile 2010

Scajola resiste ma non spiega gli assegni

Berlusconi vuole che resti al suo posto, il Pd domanda che chiarisca in Senato mentre l'Idv invoca le dimissioni

di Antonio Massari

Mentre nella Procura dì Perugia proseguono gli interrogatori, il governo si stringe intorno a Claudio Scajola e l’opposizione chiede chiarimenti e dimissioni. Al centro della vicenda, l’acquisto da parte del ministro della casa con vista sul Colosseo, sul quale non tornano diversi conti: almeno a giudicare dai particolari forniti dall’architetto Angelo Zampolini.

Chi s’adoperò per la ricerca dell’appartamento poi acquistato dal ministro? Secondo l’architetto fu Diego Anemone a fornire il primo impulso alla vicenda. Zampolini aveva lavorato con Anemone - agli arresti per l’inchiesta sugli appalti della Protezione civile – nella progettazione al circolo Salaria Village: l’imprenditore gli chiese di cercare per Scajola un appartamento di lusso. Zampolini spiega che riuscì a individuarne uno, in zona Gianicolo, ma la proposta non raccolse il gradimento del ministro. Continuò a cercare finché Anemone, però, non gli annunciò di fermarsi: la casa per Scajola era stata trovata. Primo piano, vista Colosseo. A metterlo in vendita c’erano le sorelle Beatrice e Barbara Papa. Fin qui, secondo la versione di Zampolini, la ricerca dell’appartamento.

Seconda fase: l’acquisto. Il prezzo reale lo raccontano, agli inquirenti, proprio le venditrici: 1,7 milioni di euro. Ma chi dispone il pagamento e quanto paga, realmente, Scajola? Come aveva già fatto pochi mesi prima per un altro acquisto - la casa dei figli del generale Francesco Pittorru, membro dell’Aisi, in via Merulana – è proprio Zampolini a predisporre gli assegni: quelli che avrebbero coperto la parte in nero. Negli uffici del ministero di via della Mercede, infatti, quando il notaio Gianluca Napoleone verga l’atto, le parti dichiarano di vendere i 9,5 vani catastali a soli 610 mila euro.

All’apparenza i conti tornano: Scajola dichiara di pagare con un mutuo di 700 mila euro acceso con il Banco di Napoli. Ma il restante milione di euro? Ci pensa Zampolini: su incarico di Anemone, che gli fornisce i contanti, per creare la provvista sul proprio conto. L’architetto prepara così 80 assegni per 900 mila euro. Poi li consegna a Scajola. Che li consegna alle sorelle Papa. Zampolini presenzia l’atto, ma solo per dare gli assegni circolari al ministro, spiega nella sua versione. Sugli assegni - intestati alle sorelle - non compaiono né Zampolini (titolare del conto) né Anemone (creatore della provvista): i titoli sembrano, a prima vista, provenire dal ministro, che infatti glieli consegna, quaranta assegni per ciascuna. Scajola non risulta indagato, ma potrebbe, anzi dovrebbe fornire la propria versione dei fatti.

Per allontanare ogni dubbio. Invece non parla. Se non per lamentarsi: "Non mi lascio intimidire. Contro di me e la mia famiglia una violenza senza precedenti". Berlusconi offre immediatamente il suo scudo: "Non ti preoccupare, finirà tutto in una bolla di sapone, sono accuse inconsistenti" gli avrebbe assicurato il Cavaliere dopo un faccia a faccia a Palazzo Chigi. A ruota seguono Fabrizio Cicchitto, Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Sandro Bondi. I finiani restano in silenzio, non sembra per caso.

Si fa sentire, invece, il leader dell’Idv Antonio Di Pietro: "Dopo le vicende del sottosegretario Cosentino, per il quale era stato richiesto persino l’arresto, e di un presidente del Consiglio, acclarato corruttore di testimoni giudiziari che ogni giorno si fa una legge per non farsi processare, adesso scopriamo che c'é un ministro della Repubblica che avrebbe ricevuto assegni nell’esercizio delle sue funzioni per comprare immobili con modalità non lecite. Riteniamo che Scajola debba rassegnare immediatamente le dimissioni affinché, da una parte, possa difendersi nelle sedi competenti, e dall’altra possa evitare di mettere in imbarazzo le istituzioni che rappresenta".

Interviene anche il Pd. Anna Finocchiaro scrive al presidente del Senato Schifani, chiedendogli di invitare Scajola a chiarire la vicenda in aula.

Da il Fatto Quotidiano del 30 aprile

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