15 marzo 2010

I nemici del Web

di Fabio Chiusi
Non solo Cina, Cuba e Birmania: sempre più governi fanno la guerra alla Rete. Tra gli imputati anche Turchia, Russia, Thailandia e Arabia Saudita. E fra i paesi europei è l'Italia quello in cui la libertà di Internet è più a rischio


La guerra per imbavagliare la Rete è iniziata, e i difensori della libertà rischiano di perderla. A levare il grido d'allarme è un rapporto appena diffuso da Reporters Without Borders: i nemici della Rete avanzano. Le loro armi? La disintegrazione dell'anonimato, il carcere per un'opinione espressa in un post o un commento, lo stato di polizia digitale.

I relatori di questo documento coniano in proposito il concetto di "controllo 2.0": un manto raffinato abbastanza da sfiorare le prime pagine (che infatti non approfondiscono) e al contempo spesso quanto basta per limitare fortemente i diritti umani degli abitanti di sessanta paesi nel mondo – più del doppio rispetto allo scorso anno. E questo nonostante la creatività dei cittadini digitali stia consentendo sempre nuove modalità di protesta, mobilitazione e reazione alle strette censorie, come dimostrato dall'esperienza iraniana ma anche dalle penne USB che diventano moderni "samizdat" nelle mani dei blogger cubani e dal "Democracy Day" organizzato in Bielorussia da un manipolo di "netizens" avversi alla decisione di rendere a pagamento il trasporto pubblico per gli anziani. Nelle parole del direttore di "Wired" Chris Anderson, «non c'è partita fra un account su Twitter e un Ak-47: nel lungo termine la tastiera è più potente».

Nel frattempo tuttavia i regimi autoritari, e perfino alcune democrazie occidentali, continuano ad affinare la lama. E a colpire chi osi esprimere il proprio dissenso in Rete. In Corea del Sud un blogger ha rischiato, per aver diffuso alcune notizie sulle fragilità del sistema finanziario, 5 anni di carcere e oltre 40 mila dollari di multa. L'accusa? Aver «messo a repentaglio la credibilità della nazione di fronte alla comunità internazionale». Del resto nel paese vige il Network Act, secondo cui è proibito lo scambio di informazioni online che compromettano la sicurezza nazionale o siano considerate diffamatorie, anche se vere.


In Turchia per venire incriminati basta un "adeguato sospetto", mentre negli Emirati Arabi Uniti è un crimine violare "i valori e i principi familiari". Questo senza scomodare paesi come la Cina, l'Iran e la Russia, dove il creatore di uno dei social network più popolari, Vkontakte, nel marzo 2009 è stato confinato contro la sua volontà in un ospedale psichiatrico. E dove si può morire durante l'affidamento in custodia al ministero dell'Interno senza destare eccessive preoccupazioni nella popolazione. La colpa? Aver fondato un sito di controinformazione.

Spesso le incarcerazioni vengono sfruttate per creare un clima di terrore negli utenti, nei quali viene così inculcato il valore dell'autocensura. Che i governi autoritari, naturalmente, promuovono insieme non solo a costanti campagne di demonizzazione della Rete, ma anche facilitando il compito di quei solerti cittadini che intendano promuovere da loro stessi le richieste di oscuramento verso i siti sgraditi. In Arabia Saudita sono tra le 700 e le 1000 al giorno; in Turchia il solo mese di maggio 2009 ne ha registrate ottantamila (erano 25 mila a ottobre dell'anno precedente); in Thailandia, infine, oltre un milione e centomila persone hanno composto l'1111, il numero che permette di chiedere la chiusura di un indirizzo web direttamente all'ufficio del Primo ministro.

Sempre più diffuso anche il fenomeno del "trolling di regime", ovvero del ricorso a utenti che, stipendiati dal regime di turno, inondano blog e forum di discussione "fuori dal coro" di commenti filogovernativi. In Cina hanno perfino un nome: il "Partito dei 50 centesimi". Iniziative affini si registrano in Iran, dove stanno per venire lanciati 10 mila blog controllati dai Basij, e in Russia, in cui ci si è spinti fino a produrre una replica di un sito di informazione ostile al "pensiero unico" di Putin, Ingushetiyaru.org – identica in tutto all'originale tranne che nei contenuti, naturalmente.

Il tutto mentre sullo sfondo il panorama presenta cyber cafè in cui le retate della polizia sono una consuetudine, social network come Facebook e YouTube attentamente sorvegliati, ritenuti responsabili dei contenuti immessi dai propri utenti o semplicemente resi inaccessibili e, più in generale, mentre il rispetto di una presunta "moralità" della Rete giustifica il ricorso a filtri preventivi (come la "Grande Muraglia Elettronica" usata in Cina) che eliminano la meravigliosa varietà di opinioni che sta alla base della convivenza civile.

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