20 marzo 2010

Vincere, e perderemo (i “moderati”).

di Fabio Chiusi

Chissà cosa dirà il “moderato” medio della caricatura di Paolo Del Debbio su Il Giornale di oggi. Chissà se troverà divertente o offensivo passare per quello che “non ha voglia di manifestare anche perché non ha, generalmente, quella rabbia in corpo che hanno quelli di sinistra e dintorni, quell’invidia sociale che anima le piazze rosse, viola eccetera“. Per quello che si disinteressa di ciò che ha l’altro, e che si scuote dalla pigrizia soltanto quando gli “viene pestato forte un piede”.

Chissà cosa penserà, questo fantomatico “moderato”, dell’editoriale con cui Maurizio Belpietro svela – da una prima pagina che ricorda una chiamata alle armi – che le piazze del 1996 e del 2006 erano state riempite proprio da quella rabbia che si vorrebbe patrimonio unico della sinistra. Chissà se deciderà di scendere in piazza convinto, come Vittorio Sgarbi, che il caos sulla presentazione delle liste nel Lazio non sia stato determinato dall’incompetenza di alcuni, ma dal “fascismo” e dal “regime” dei magistrati rossi. E io che pensavo che attributo fondamentale del “moderato”, anche nella sua versione fantoccio ad uso di certi quotidiani, fosse il rigetto delle esasperazioni lessicali tanto care all’odiato – soprattutto da quei certi quotidiani – “ex paladino di Mani Pulite” (“si fa per dire”, aggiunge Del Debbio). Chissà se troverà la forza di scuotersi e andare sotto al “palco hollywodiano” da cui parlerà il solo Berlusconi (i cori, la pluralità sono roba da estremisti, da “finiani doc”) rispondendo con tre decisi sì alle domande di Del Debbio. Sì, in Italia non va tutto bene: il problema è che la legge non è uguale per tutti, e a farne le spese (sic) è Berlusconi. Sì, non c’è altro leader al di fuori di Silvio. E ancora: sì, bisogna “contrastare l’uso improprio e costante che della piazza viene fatto dalla sinistra”.

Io temo che Del Debbio si sbagli. Al “moderato” non interessano le urla e gli strepiti per nascondere i propri errori: meglio una piccola ammissione, una parolina di due sillabe (“scu-sa”) e via, di nuovo al lavoro. Al “moderato” non passerebbe mai e poi mai per la testa di pensare che un cittadino che ha il potere di scriversi 37 leggi ad personam (sperando non mi sia perso l’ennesimo dl notturno) possa venire considerato vittima e non carnefice dell’articolo 3 della Costituzione. Da ultimo, al “moderato” non interessa “contrastare” l’opinione altrui, che si esprima con una protesta di piazza o con un pamphlet: al “moderato” interessa che l’opinione con cui dissente si possa udire forte e chiara quanto la sua. Saranno gli argomenti, a dirimere.

E poi per “vincere”, questo il “moderato” l’ha capito, non basta un pomeriggio sotto a una bandiera italiana lunga 500 metri e larga 8: non c’è bandiera estesa abbastanza da coprire due anni di governo come quelli appena trascorsi. Lo ha capito la Lega, e lo hanno capito i leghisti. E così si crea il cortocircuito per cui, come scrive Massimo Gramellini su La Stampa, “gli unici a non andare in piazza sono quelli che ci stanno tutti i giorni”. Che compilano la bolletta dell’anziana e magari le danno una mano a trovare i soldi per pagarla. Che, e continuo a riportare Gramellini, “raccolgono la firma dell’imprenditore furibondo in calce a una petizione contro le ferrovie”. Così si vince la preferenza del “moderato”: non accanendosi contro le voci fuori dal coro, non fungendo da megafono del populismo e degli insulti, non dipingendo un’Italia in cui ci siano i buoni che amano e i cattivi che non sanno che odiare. Questo i “moderati”, quelli in carne ed ossa, non lo accettano: alla meglio sono idee che stuzzicano il loro fantoccio. Del Debbio si accontenti del voto di questi ultimi.

Fonte: http://ilnichilista.wordpress.com/2010/03/20/vincere-e-perderemo-i-moderati/

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