17 marzo 2010

Landi di Chiavenna: «No alla anoressia, innanzitutto dalle passerelle»

L'assessore alla Salute di Milano sulle modelle troppo magre

di Fabio Chiusi

I giorni delle sfilate milanesi sono appena trascorsi, e - almeno per quest'anno - non si è sentito parlare di scheletri in passerella. È perché sono passati inosservati, oppure effettivamente non ce n'erano? L'abbiamo chiesto a Giampaolo Landi di Chiavenna, assessore alla Salute del comune di Milano e da anni impegnato a promuovere una alleanza tra mondo della moda, istituzioni e opinione pubblica che restituisca un ideale di bellezza diverso da quello, pericoloso, della magrezza a ogni costo. La sua ultima trovata risale al mese scorso: affidare la sorveglianza di ogni singola sfilata a un team di “sentinelle” pronte a denunciare la presenza di un disturbo alimentare conclamato.


Come è nata e in che cosa consiste l'idea delle “sentinelle” contro l'anoressia?
Si tratta dell'ultima di una serie di iniziative che abbiamo attivato a Milano per analizzare il problema dei corretti stili di vita e dell'alimentazione applicati al mondo della moda. A tal fine due anni fa abbiamo costruito un tavolo Moda-Salute insieme alla Camera italiana della Moda e all'Associazione nazionale delle modelle. Oggi ho ritenuto fosse opportuno verificare se queste campagne di sensibilizzazione avessero prodotto dei risultati, e quindi se sulle passerelle delle scorse settimane avessero sfilato ragazze manifestamente anoressiche o se la situazione andasse migliorando. Ho inventato la figura delle “sentinelle”, che in realtà non sono che alcune persone del mio entourage o dell'assessorato che si sono fatte carico di controllare le condizioni fisiche delle modelle.


Tuttavia le sue “sentinelle” non hanno potuto “controllare” ben sette sfilate su dieci. Come mai tanti stilisti non hanno offerto la loro collaborazione, lasciandole fuori dalla porta? Dopotutto stavano svolgendo un servizio pubblico nell'interesse della collettività...
Essendo il progetto partito un po' in ritardo e non avendo ricevuto gli inviti formali in alcuni casi ci è stato cortesemente rifiutato l'ingresso, perché senza non si poteva accedere. Del resto, i posti erano pochi e molto ambiti. Non c'è stata una grandissima disponibilità degli stilisti ad assecondare il nostro desiderio di rendere trasparenti le sfilate dal punto di vista dei disturbi del comportamento alimentare. Ad ogni modo c'erano tv e fotografi, e se fosse emersa qualche modella palesemente anoressica forse se ne sarebbero accorti, al di là delle mie “sentinelle”. Per quanto ci siano condizionamenti economici che a volte rendono invisibile ciò che dovrebbe essere molto visibile.

Rimaniamo a ciò che non vorremmo fosse “visibile”: gli scheletri in passerella. Lei ha recentemente dichiarato che quest'anno non ci sono stati “esempi negativi eclatanti”. A che cosa si riferiva esattamente?
A ragazze manifestamente magre, scheletriche, costrette a sottoporsi a diete estremamente pericolose per la propria salute - perché costrette a prendere medicinali, ad esempio – che le rendano appetibili alle casa di moda, alle stiliste o alle testate specialistiche ma che rappresentano una fisicità estremamente negativa come modello di salute.


Parla di ragazze che mostrino chiaramente i segni di un disturbo alimentare? Perché ce ne sono...
Ce ne sono, ce ne sono. Però anche qui bisogna stare attenti a distinguere la magrezza patologica da quella sana. Siccome stiamo parlando di ragazze molto alte, a volte, la magrezza è fisiologica. L'indice di massa corporea (il rapporto tra peso e quadrato dell'altezza di un individuo, divenuto uno degli indicatori della presenza di una patologia alimentare) si è ampiamente modificato nel corso del tempo, per cui le percentuali sono molto più basse rispetto al passato. Tuttavia quest'anno, per quanto ho potuto verificare - direttamente tramite le sentinelle o indirettamente guardando le sfilate su televisioni e giornali - non mi è parso di cogliere situazioni gravissime. I responsabili dei cast guardano ancora alle ragazze filiformi perché più vestibili, però probabilmente siamo riusciti a responsabilizzare un po' il settore del fashion.


Quindi non serve una legge come quella spagnola, in cui le modelle sotto la taglia 42 non possono sfilare?
Io sono un liberale e un laico e sono tendenzialmente contrario alle politiche dei divieti, delle proibizioni e delle sanzioni di carattere normativo. Mi piacerebbe immaginare una società che abbia la grande capacità di responsabilizzarsi a prescindere dalle norme. Le leggi, è chiaro, sono fatte anche per sanzionare i vizi, ma bisognerebbe passare alla logica della virtù. La responsabilità sociale deve diventare una condizione metabolizzata, condivisa per volontà e non per dovere.


Il codice di autoregolamentazione del settore, che lei ha contributo a predisporre e far applicare, è ancora in vigore? E che risultati ha prodotto?
È in vigore, è stato adottato dall'Associazione servizi moda - e dunque tutte le modelle che fanno parte della “scuderia”, la più importante a livello nazionale, sottoscrivono questo codice di autodisciplina. Per cui vengono munite di un “Visto Moda”, che oltre a tutelare gli aspetti assicurativi, previdenziali e di soggiorno serve per dimostrare che le modelle si sono sottoposte volontariamente a tutta una serie di accertamenti di carattere diagnostico e che dunque sono persone magre ma in salute.

Non servirebbe uno sforzo concertato a livello internazionale, in questo senso?

L'obiettivo è creare un network delle grandi capitali della moda (Parigi, Londra, New York e Milano) e dunque esportare il modello del codice di comportamento e autodisciplina. Estendendolo alle grandi case di moda, alle grandi testate giornalistiche, alle associazioni di modelle a livello internazionale: che creino loro questo documento unitario e si impegnino a rispettarne i criteri scientifici e comportamentali. La finalità è fare in modo che le modelle siano modelli positivi di riferimento per le ragazzine. E questo deve valere per tutte le persone che hanno notorietà attraverso i mezzi di comunicazione.


Un recente studio condotto in America, La bellezza ridefinita, ha raccolto dati allarmanti: quasi 9 ragazze su 10 tra i 13 e i 17 anni sostengono che la moda spinga verso la magrezza. Il 75% dice che il mondo della moda sia molto importante, una su due vorrebbe essere "magra come le modelle". Come mai questi dati, pur se preoccupanti, non hanno suscitato un particolare interesse in Italia?
Probabilmente perché fa molto più notizia parlare di indagini giudiziarie e di escort, perché si tenta di non destabilizzare un settore molto importante, come la moda, dal punto di vista economico e perché questi dati non sono conosciuti. Tenga conto che noi parliamo di anoressia, ma che in Italia anche i tassi di crescita di obesità e sovrappeso sono preoccupanti, per le patologie correlate che determinano. A Milano ne soffrono tre ragazzi su dieci, il che significa che queste persone avranno 10 anni di vita rispetto al normopeso, problemi di diabete e di sedentarietà. L'altro lato della medaglia di una società che denota una fragilità complessiva a livello educativo e valoriale.

Fonte: http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.asp?VisImg=S&Art=4718&Cat=1&I=../immagini/Foto%20A-C/anorex_int.gif&IdTipo=0&TitoloBlocco=L'Intervista&Codi_Cate_Arti=39

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